C’è chi si definisce ciclista, chi amatore, chi cicloturista! Io semplicemente mi definisco ciclocazzista.
Anche se la mia storia d’amore con la bicicletta ha radici lontane nel tempo, grazie a mio nonno che mi obbligava a guardare il Giro d’Italia al posto dei cartoni pomeridiani, in realtà il semino del ciclismo ha cominciato a germogliare solo quest’anno, quando un collega mi ha regalato una vecchia mountain bike, di una taglia che non era la mia, e con un corposo elenco di problemi meccanici.
Con questa bici mi sono buttata all’avventura, pur non sapendo nulla di biciclette a livello tecnico, trovandomi ogni tanto in situazioni spiacevoli. Come quella volta che in salita si è rotto il deragliatore davanti e io non curante ho proseguito cambiando rapporto a mano, scendendo dalla bici ogni volta, perchè oramai mi ero messa in testa che dovevo arrivare in cima.
Da lì ho capito che nel momento in cui nasce una passione, essa va coltivata, curata, accudita e custodita, per cui finalmente mi sono fatta un regalo e mi sono comprata una bici gravel.
E da lì, come sempre nella vita, per una serie di circostanze fortuite, mi sono trovata il 5 novembre mattina alla partenza della GravelBL, il mio primo “evento” ufficiale. Quale modo migliore per festeggiare i primi 50 giorni di vita della mia bici?
Le prospettive, sarò sincera, non erano delle migliori: siamo usciti da sei giorni di pioggia torrenziale, ha piovuto fino alle 6 di mattina, a Belluno alle ore 8 ci sono nuvole basse e il termometro segna 3 gradi … e più penso alla giornata che mi aspetta, più penso «ma chi cavolo me l’ha fatto fare? Perchè non ho la passione dell’uncinetto che forse era meglio?».
Ma insomma, bando alle “ciacole“, caffettino e biscottino tattico da Robi e via andare!
I primi km sono tranquilli, c’è freschino, o forse proprio freddo, ma è meglio non pensarci. La neve ci guarda dalle cime delle montagne che ogni tanto fanno capolino tra le nuvole, il vento ci porta aria pungente, e noi avanti a pedalare su un bel percorso asfalto misto ghiaia molto piacevole. Conquistato il primo guado, da fare forzatamente a piedi, si riparte in direzione Longarone. La giornata finalmente si apre, le nuvole si alzano, quasi sicuramente c’è il sole da qualche parte, ma non qui, perché siamo in una valle molto chiusa e le temperature sembrano ancora più rigide rispetto alla partenza.
Comunque finora tutto bene, le gambe girano, il percorso è piacevole, non troppo tecnico e il tracciato non sembra essere troppo fangoso … ho scritto “sembra” perché da Soverzene in poi, a parte qualche tratto di asfalto, tutto ciò che è ghiaia – sterrato – bosco è coperto da un generoso tratto di pocio – melma – fango che viene su da ogni dove, e in poco tempo mi ritrovo con schizzi di fango anche sopra al casco. Poi vabbè, ad un certo punto ci avevo anche preso gusto tant’è che sono ritornata indietro su una pozza lunga 10 metri solo perché volevo fare un video, incurante del fatto che ce n’era una identica 20 metri più in là e quindi potevo farlo dopo, ma insomma mi definisco ciclocazzista per qualcosa.
Dopo la pausa d’obbligo al lago di Santa Croce per Coca Cola e barretta, si riparte in direzione Paludi, poi su a Canevoi e giù a Sagrogna, e da qui in poi la situazione “pocio” si fa grave(L) sul serio. Fango, fango, fango ovunque! Non c’è verso di evitarlo o di prenderne meno: pozze lunghe 3 metri con 6 centimetri di acqua intervallate da melma appiccicosa: una fatica a guidare la bici, per me che sono inesperta, fatica fisica cui si aggiunge la fatica mentale perché i miei neuroni continuano a pensare «non cadere non cadere non cadere – non mettere piede a terra (terra? ma quale terra?) non rallentare – non prendere quella buca – ocio ai rami dentro l’acqua – non cadere per carità» e via in loop così.
Per arrivare a Modolo altra fatica: strappetto ammazzagambe (quali gambe? non le sento più) e poi ancora fango, sentieri in mezzo all’erba dove la bici non va avanti. Non c’è verso, mi sembra di afrontare una salita al 20% e forse sono addirittura in piano, ma le ruote sono incollate al terreno. Eppure, una pedalata dopo l’altra si arriva finalmente a Modolo e infine a Castion. Vedo la luce in fondo al tunnel, davvero ce la sto facendo? Oramai di tecnico non c’è più nulla e il dislivello è quasi tutto andato. Quasi, appunto.
Da Visome ritorniamo verso Belluno, salita per arrivare in centro, ok non è dura ma siamo a fine giro e la fatica si fa sentire. Ma insomma, in qualche maniera si fa!Piazza dei Martiri è pieno di gente che si gode la passeggiata domenicale, e poi ci siamo noi che siamo così pieni di fango che lasciamo addirittura la scia.
«Ce l’abbiamo fatta!» mi dice il mio socio Andrea, ma l’insidia è subito dietro l’angolo, perché dal centro di Belluno ri-scendiamo per attraversare l’Ardo in corrispondenza del Ponte dell’Anta e ci dirigiamo verso il durissimo strappo di Borgo Pra, che in teoria è una mini salita al 15% ma mi sembrava almeno al doppio. Ma dopo sì che posso dire «CE L’HO FATTA!».
Arriviamo da Robi Bike! Passiamo sotto l’arco … mi viene da piangere e da ridere contemporaneamente, ma sul serio ci sono riuscita? Io che fino a due mesi fa nemmeno ce l’avevo una bicicletta tutta mia?
C’è gente che parla, che scherza, che beve e che mangia, chissà gli altri quante gare ed eventi avranno fatto nella loro vita. Tutto ciò gli sembrerà normale amministrazione, ed invece io vorrei solo urlare, urlare al mondo che per la prima volta in vita mia ce l’ho fatta, con le mie gambe, la mia testa, il mio cuore, ce l’ho fatta e sono andata OLTRE, i miei km hanno un senso, un senso tutto mio, di quelli che mi regalano battiti in più da vivere.